Stamattina mi sono svegliato, ho fatto colazione, mi sono ripulito, mi sono vestito ed ho acceso il mio portatile. Dopo aver fatto un blitz su vari siti internet cercando, senza successo, notizie succulente da commentare ho deciso di fare una capatina sul sito del Corriere, tanto per aggiornare la mia rassegna stampa. Ed invece il buon vecchio quotidiano di Milano nascondeva una sopresa: un bell'articolo (si fa per dire) di Jacques Attali dal titolo "Israele, Hezbollah, la Storia". Un articolo, a mio parere, leggermente non aderente con la realtà dei fatti, in parte delirante e totalmente esagerato.
"Nel marzo 1936, di fronte alla rimilitarizzazione della Ruhr da parte di Hitler, il britannico Halifax poi il primo ministro francese Blum hanno lasciato fare, e abbiamo avuto la guerra. Nell'ottobre 1962, di fronte ai missili sovietici a Cuba, i fratelli Kennedy non hanno lasciato fare, e abbiamo avuto la pace. Nel luglio 2006, di fronte ai missili siro-iraniani sulle spiagge del Mediterraneo, quale sarà la nostra reazione?"
Ho sempre amato i voli pindarici con la storia. Non c'è sistema migliore, per un autore senza argomenti, che paragonare eventi storici che non hanno nulla a che fare gli uni con gli altri, senza dare spiegazione sul metodo di paragone usato. Mettere a confronto la rimilitarizzazione della Ruhr con un paio di centinaia di missili Katiuscia a medio raggio è semplicemente ridicolo. Neppure storicamente sono attinenti, visto che i Katiuscia sono stati inventati nel 1941. Avete capito bene, 1941. I Siriani e gli Iraniani, per ora, non hanno di meglio da offrire che missili inventati all'inizio della Guerra Mondiale Parte Seconda.
Ci preoccupiamo davvero di una manciata di missili di vecchia data, qualche RPG e una buona dose di kalashnikov? Dobbiamo davvero temere tanto? Mi risulta che, per il momento, l'unica potenza nucleare della regione sia proprio Israele ed io sinceramente ho più paura di un paese con le armi nucleari, piuttosto incline alla violenza, che di un gruppo di miliziani armati di polvere da sparo e tanta buona volontà nell'usarla.
"Tollerarli [i missili siro-iraniani] con il pretesto che Israele è armato dagli americani, significherebbe mettere le armi di una democrazia, anche se dominante, sullo stesso piano di quelle di una dittatura, che sogna di divenirlo."
Io le armi di una "democrazia dominante" le metto sullo stesso piano di una dittatura! Secondo l'autore, una democrazia può fare meno danni di una dittatura? A me non risulta. Guardiamo il comportamento recente della Russia contro i ribelli in Cecenia e Daghestan; oppure torniamo indietro nel tempo, quando gli Stati Uniti finanziavano attivita para-militari in Nicaragua, o durante l'occupazione di Panama. Le armi sono armi. Il comportamento irresponsabile di Israele non permette certo di dormire tranquilli e l'atteggiamento permissivo degli Stati uniti e di alcuni paesi europei fa venire gli incubi. Chi sta veramente procurando battaglia, con dichiarazioni al limite della follia, è Olmert! Sulla strage di Qana sono state raccolte sufficienti prove per trascinare il Primo Ministro israeliano di fronte alla Corte Penale Internazionale, ma non credo proprio che lo vedremo mai al banco degli imputati...
"Un giorno, questi missili, che oggi prendono di mira Haifa e Tel Aviv, saranno puntati sul Cairo, Riad, Istanbul, Tunisi, Algeri, Casablanca prima di esserlo su Roma, Madrid, Londra e Parigi. L'ora della verità s'avvicina. Occorre scegliere il proprio campo."
Io questa la chiamo istigazione alla battaglia. Questo autore ha in mente la Guerra Santa contro l'infedele, dimenticando che gli interessi in gioco sono perlopiù economici, da una parte e dall'altra. Dimenticando anche che l'estremismo che abbiamo di fronte non è figlio dei precetti religiosi, ma lo è dell'immensa povertà di quei popoli. La religione (distorta, peraltro) è solo il vincolo che incanala tali estremismi. E' la povertà che va combattuta, non i missili. State tranquilli che se hai palestinesi date la terra che gli spetta e l'acqua per sopravvivere, non avranno più motivi per farsi saltare in aria davanti ad un cinema. E' Israele che dev'essere ridimensionato, riportato all'interno di una dialettica democratica. Dal 1948 ad oggi, Israele non ha rispettato una, che sia una, risoluzione delle Nazioni Unite, così come non lo hanno fatto gli Hezbollah o l'OLP. Stanno tutti sullo stesso piano, con l'unica differenza che Israele è una "democrazia", ma io non riesco proprio a vederlo come titolo di merito...
03 agosto 2006
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10 commenti:
Caro Attila,
ancora non hai capito,
non sono le centinaia di missili ammuffiti che faranno la storia,
ma "la buona volontà" di chi sta dietro agli apprendisti "artiglieri" che, mò, si esercitano con i katiuscia, e po' con qualcosa di più sostanzioso, di marca Acmame...ecc.
Ah,
oggi sentivo in televisione che le vittime civili irakene degli attentati compiuti dai partigiano-resistenti ammontano a quasi quindicimila...
Sai,
qualche foto non guasterebbe...
O Acme, come quelli di Will Coyote?
Scusate, non sono riuscita a trattenermi...
Serissimamente Nausy, non è con il ricatto che "domani potrebbe toccare a noi" che dobbiamo farci tirare dentro questa guerra. La Francia ha già detto: "un momento, vediamo, parliamone". D'Alema si è già compromesso troppo, a mio parere. Olmert chiede truppe di pace pronte alla guerra (bell'ossimoro), quindi rischia di diventare tragicamente realistico il 10-100-1000 Nassyria, perchè di perdite potremmo averne tante, ma tante. Per che cosa? Per mandare avanti l'agenda neocon? Muoia Sansone con tutti i filistei?
@Attila
Pensa se allora invece dei fratelli Kennedy ci fossero stati i fratelli Bush...
ciao
@Nausy
Per buona volontà è intererssante anche quella delle truppe Israeliane, che stanno portando oltre confine migliaia di mine antiuomo.
Se non ricordo male c'è la Convenzione Internazionale di Ottawa del 1997 che ne mette al bando la produzione e ne condanna l'utilizzo perchè affiancabile ad un crimine di guerra, vista soprattutto la pericolosità sulla popolazione civile. Casualmente Stati Uniti e Israele non l'hanno firmata................
Portare mine antiuomo oltre confine significa impedire alle popolazioni civili sgoberate dall'area di tornare nelle proprie case... significa appropriarsi della loro terra...
Chi è più terrorista in questo caso? Quanti bambini, quante braccia e gambe di gente innocente salteranno per aria quando questa guerra sarà finita?
@Lameduck
diamo a cesare quel che è di cesare. Se ci fossero stati i Bush forse le cose si sarebbero svolte diversamente e noi saremmo solo dei mostri deformi contaminati dalle radiazioni.
Non scordiamoci però che i Bush sono figli del proprio tempo. La disgregazione dell'opinione pubblica americana, unita al suo impoverimento culturale, ha permesso la salita al potere dei neo-conservatori. Questo anche perchè, diciamola tutta, agli americani non è mai fregato granchè di tutto quello che succede nel giardino del vicino, figurarsi dall'altra parte del mondo. Una scarsa partecipazione politica, unita a dei media completamente controllati dai partiti o dalle lobby ed un corpo politico invischiato sia da una parte che dall'altra negli affari con il petrolio e con i più importanti gruppi di pressione (non da ultime la lobby ebraica e quella delle armi) hanno provocato l'attuale linea in politica estera degli Stati Uniti.
In Europa, poi, siamo i soliti leccapiedi...
Io penso solo che tutto ciò sia vergognoso...e la cosa peggiore è che non si può criticare Israele senza essere tacciati di antisemitismo!
E questa la chiamano civiltà...
Caro lameduck,
devo confessarti che anche il tuo nome mi ricorda tanto i cartoni animati. Mi fa venire in mente, infatti, una parente stretta di donalduck.
Per il resto, dovresti spiegarti in maniera più chiara, visto che vai pazza per la pedanteria.
Caro Attila,
visto che non ti preoccupi dei razzi di ezbollah,
perchè mai dovresti preoccuparti delle eventuali mine antiuomo israeliane?
Forse perchè i razzi fanno meno male?
Naturalmente tu pubblicherai in eterno solo le foto di gente fatta a pezzi appartenente ad una sola parte.
CARO ATTILA,
QUESTO ARTICOLO, TRATTO DAL CORRIERE DELLA SERA DEL 13/08/06, LO DEDICO A TE E A QUELL'ANIMA CANDIDA DI LAMEDUCK...
Sicurezza e fondamentalisti della legalità Il compromesso necessario di Angelo Panebianco
Facciamo un'ipotesi, di fantasia ma non proprio del tutto implausibile. Immaginiamo che tra qualche mese venga fuori che l'Apocalisse dei cieli, il grande attentato destinato a oscurare persino gli attacchi dell'undici settembre, con migliaia e migliaia di vittime innocenti, sia stato sventato solo grazie alla confessione, estorta dai servizi segreti anglo-americani tramite tortura, di un jahadista coinvolto nel complotto, magari anche arrestato (sequestrato) illegalmente. Chi se la sentirebbe in Occidente di condannare quei torturatori? La risposta è: un gran numero di persone. In Italia più che altrove.
La cosa interessante è che a emettere sentenze di condanna senza nemmeno riconoscere l'esistenza di un «dilemma etico» nella vicenda in questione non ci sarebbero solo quelli che Giuliano Ferrara sul Foglio ha definito gli appartenenti al «nemico interno» (il quale esiste, eccome), alleato di fatto del terrorismo jahadista. No, fra coloro che condannerebbero i torturatori senza dubbi né tentennamenti ci sarebbero anche tante brave persone in buona fede che hanno orrore del terrorismo ma che credono che cose come la legalità, i diritti umani e quello che chiamano (in genere, senza sapere bene cosa sia) lo «stato di diritto» debbano sempre avere la precedenza su tutto: anche sulla salvezza di migliaia di vite umane.
Come si spiega che in Italia più che altrove sia venuta totalmente meno l'idea (che però resiste in altri Paesi occidentali, dagli Stati Uniti alla Gran Bretagna, alla Francia) che la convivenza democratica possa poggiare solo su un compromesso, precario quanto si vuole, ma pur sempre un compromesso, fra stato di diritto e sicurezza nazionale? La spiegazione deve mettere in gioco vari elementi. C'è in primo luogo il lunghissimo periodo di pace che abbiamo alle spalle. Quella fortunata età dell'oro che è stata la lunga pace post '45 ha reso un gran numero di persone, soprattutto quelle nate dopo la Seconda guerra mondiale, incapace persino di mettere a fuoco l'idea di «nemico», il nemico vero, assoluto, quello che ti ucciderà se non riuscirai a neutralizzarlo. Per queste persone, la guerra è un fenomeno letteralmente incomprensibile. Ciò le rende disponibili a credere che la guerra dichiarata all'Occidente dal terrorismo jahadista possa essere affrontata con gli stessi strumenti con cui ci si difende dai ladri di polli o dai rapinatori di banche.
La seconda ragione ha a che fare con la vicenda italiana recente. La caduta dell'Urss e la successiva vicenda di Mani pulite determinarono in molte persone, all'inizio degli anni 90, una singolare metamorfosi: esse passarono, senza soluzione di continuità, dagli ammiccamenti per la Rivoluzione (fra tutti gli eventi, il più «illegale» che si possa immaginare) alla apologia della «legalità». Da bravi neofiti costoro hanno trasformato lo «stato di diritto» in una specie di feticcio davanti a cui ci si dovrebbe solo inchinare acriticamente.
Nessuno ha spiegato loro che lo stato di diritto è solo uno strumento, altamente imperfetto, che serve a regolare i rapporti entro la comunità democratica in condizioni di normalità. Uno strumento che fallisce quando scatta l'emergenza, quando qualcuno ti dichiara guerra. Sono questi neofiti che, se uno osa dire che dalla guerra, anche quella asimmetrica, non ci si può difendere con mezzi legali ordinari, gli spiegano subito con sussiego che se la democrazia non rispetta rigorosamente la «legalità» diventa come i terroristi la vogliono. Dimenticando che i principi vanno sempre adattati alle situazioni e che servono solo se si resta vivi.
A differenza dei neofiti della legalità, i liberali di antica data hanno sempre saputo che lo stato di diritto deve convivere, se si vuole sopravvivere, con le esigenze della sicurezza nazionale. Il che significa che si deve accettare per forza un compromesso, riconoscere che, quando è in gioco la sopravvivenza della comunità (a cominciare dalla vita dei suoi membri), deve essere ammessa l'esistenza di una «zona grigia», a cavallo tra legalità e illegalità, dove gli operatori della sicurezza possano agire per sventare le minacce più gravi. I neofiti della legalità non lo capiranno mai ma questo compromesso è anche l'unica cosa che, in condizioni di emergenza, possa salvare lo stato di diritto e la stessa democrazia. Perché quando arrivano le bombe, quando le strade si tingono di sangue, o ci affida a quel tacito compromesso oppure si deve scontare l'inevitabile reazione che porterà, prima o poi, dritto filato verso soluzioni autoritarie.
Le democrazie più salde e consolidate ne sono consapevoli e per questo difendono quel compromesso. Il rischio è che una malintesa, fondamentalista, visione della legalità ci porti ad abbassare drammaticamente le difese, per esempio a isolare i nostri addetti alla sicurezza dal resto dei servizi segreti occidentali, perdendo così l'input più prezioso nella guerra simmetrica contro il terrorismo: le informazioni.
Una classe dirigente degna di questo nome non può fare finta di nulla.
È assolutamente necessario, come dimostrano anche i contraccolpi dell'inchiesta giudiziaria sul sequestro di Abu Omar, che un confronto tra politica, operatori del diritto (magistrati, avvocati) e operatori della sicurezza abbia luogo. Per ricostituire quel compromesso tra stato di diritto e sicurezza nazionale che in Italia, proprio in uno dei momenti più cupi e pericolosi della storia recente dell'Occidente, è venuto meno. È un'esigenza vitale. Letteralmente.
13 agosto 2006
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